Zeman cambia spartito, quel compromesso involontario con i giocatori

«Perchè non cambi mai…», cantava Antonello Venditti in uno dei suo brani più viscerali, “La coscienza di Zeman” (anno 1999). Il pezzo si apre con una sventagliata di suoni quasi a riprodurre le roboanti azioni del tridente zemaniamo: ne rivedremo ancora di offensive così? Nell’ottavo Foggia del boemo in realtà qualcosa di nuovo sta venendo fuori ed è un processo carsico quello che si consuma nelle pieghe del programma settimanale tra allenamenti e partite. Qualcosa che muta silenziosamente, il boemo fa finta di non accorgersene. Sono i giocatori gli artefici di una sorta di rivisitazione del metodo zemaniano. D’accordo, l’inflessibilità e la gestione militare del gruppo non sono principi da cui l’uomo dell’Est intenda derogare. Quanto all’interpretazione del modulo invece, beh qui la palla passa davvero ai calciatori. I quali stanno prendendo ciò che di buono predica il boemo (preparazione atletica, i movimenti senza palla, la velocità di esecuzione), evitando di cadere nella tentazione di alcuni sofismi su cui ogni tanto il boemo si fissa. Ad esempio il tecnico vorrebbe che il portiere calciasse il pallone molto più velocemente, ma quello risponde di non poterlo fare se non vede all’orizzonte compagni già piazzati. Qualche settimana fa era emerso il problema della difesa altissima, fin quasi sulla linea di centrocampo, mai vista nelle prime sei partite di campionato. Accadeva alla vigilia della trasferta di Palermo, il boemo se ne era lamentato con i giornalisti: «I difensori hanno paura di venire troppo in avanti…». Bene, l’hanno accontentato ed hanno preso tre sberle. Solo una coincidenza? L’impressione è che al suo quarto ritorno al Foggia, il boemo potrebbe forse aver compreso quanto sia importante ascoltare anche i giocatori. In realtà in carriera l’ha fatto molte altre volte: con Totti ad esempio, il suo esecutore maximo, tutto è filato liscio. Ma questa volta è diverso, anche il boemo deve fare i conti con i tempi che cambiano e con la generazione “liquida”, direbbe Baumann, dei ragazzi d’oggi. Un tempo Zeman non si sarebbe mai lamentato con i giornalisti di certi contrattempi che pure si verificarono in certe sue annate, impensabile che accadesse ai tempi della Zemanlandia rossonera (1989-94) poi esportata su entrambe le sponde del Tevere. Ma oggi deve aver compreso che la squadra, per seguirlo, impone qualche lucido compromesso sul piano tattico. Per questo i puristi del 4-3-3 zemaniano continuano a stupirsi di non vedere (ancora) le geometrie sul campo esaltate dai Signori, Baiano, Rambaudi ed esportate poi alla Lazio, alla Roma e via dicendo. Ma il sospetto per gli amanti del collettivo zemaniamo è che il flipper di una volta non lo rivedranno più. Perché oltre a cambiare gli interpreti, sono cambiati i tempi di esecuzione e la volontà/capacità di applicare certi schemi. Molti giocatori devono a Zeman le fortune della loro carriera, ma anche il boemo ha fatto fortuna con loro: gruppi di talebani che hanno radicalizzato il calcio del boemo a costo di rimetterci l’osso del collo (a Bergamo con l’Atalanta da 1-4 a 4-4, 12 aprile ‘92). Qualche ribellione sui generis si ricorda pure: con l’attaccante della Lazio, Boksic, ad esempio. Ma il boemo riuscì comunque ad aver ragione: quell’anno i biancazzurri si piazzarono secondi dietro la Juventus. Oggi il boemo forse ha compreso come non cambiare mai significherebbe restare a guardare il calcio in poltrona, come negli ultimi tre anni. A Foggia invece la giostra riapre magari con qualche gioco di luce in meno. E chissà che alla fine la correzione in corsa non finisca per piacergli.

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