Non c’era molto di più che potesse dire il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua visita all’università di Foggia. L’esortazione ai giovani a «mettersi in gioco» è un buon titolo di giornale, ma la sostanza è ben altra. E’ soprattutto in quel gesto: il capo dello Stato che allo scadere del settennato intuisce l’importanza di aderire all’invito di una comunità tradita e senza più rappresentanza. E viene a confortarla, mette in gioco il sigillo quirinalizio sui timori di un popolo gravato dall’infamante marchio del commissariamento «per mafia». Così in uno scenario da «senza patria», l’invito rivolto quasi per interposta persona dalla giovane università fa risaltare ancor più quel vuoto. Inevitabile a quel punto il messaggio lanciato dalla comunità accademica foggiana: la sfida della cultura per arginare la deriva della criminalità dilagante e della povertà educativa. Cammino tutto in salita, poiché mentre il presidente parlava, a Orta Nova era appena andata a fuoco l’auto di un agente della polizia locale, mentre una delle tante classifiche sulla qualità della vita del Sole 24 Ore assegna alla Capitanata il primato delle estorsioni. Dovrebbe pertanto incoraggiare la comunità locale la spinta dell’università di colmare un vuoto. Del resto i numeri sfoggiati dal rettore Pierpaolo Limone – il 72% dei neolaureati trova un impiego dopo il primo anno, immatricolazioni anche quest’anno in crescita dopo il botto dei 4200 dell’ultimo anno accademico – non vanno interpretati. Sono i risultati inequivocabili di una crescita sociale che per ora si riflette soprattutto sui nostri giovani. Ovvero il futuro di questo territorio, sempre che decidano di restare. Sì, perché la piaga dell’emigrazione post-laurea continua a sanguinare: anche i neolaureati vanno via, attratti da offerte più allettanti in altre regioni o all’estero.
L’università sembra oggettivamente sola in questo percorso: l’impressione è che riusciremo a sconfiggere la «quarta mafia» se i giovani metteranno sul campo, dove sono nati e cresciuti, le loro competenze. Altrimenti saranno appunto solo slogan i record sulle nuove immatricolazioni, come gli inviti a mettersi in gioco del capo dello Stato. «Le leve strategiche della nostra università sono l’orientamento e la formazione dei formatori», ha detto la prof. Daniela Dato, nel suo discorso di benvenuto. E’ il Centro di sviluppo alla carriera, luogo dell’apprendimento permanente l’altra grande scommessa dell’ateneo dauno. Si formano i formatori, ovvero i professori, perché i tempi che corrono specie sul piano delle tecnologie richiedono competenze sempre più spinte. E l’aggiornamento continuo sarà uno stimolo costante per gli studenti, consentirà loro di aprire gli occhi sul proprio futuro. L’obiettivo di questo non facile tentativo è di produrre effetti a cascata sul tessuto economico locale, ad esempio, oggi abbastanza scollegato dalle dinamiche del mondo accademico. Certamente se il territorio è scollegato non è colpa dell’università, ma è questo un altro vuoto da colmare, in una provincia che sembra aver smarrito il senso delle cose comuni negli ultimi dieci anni.