Natale senza albero, così i foggiani potranno piangersi addosso (di più)

Tripudio di luci e di colori, le città del Natale hanno alzato il sipario con largo anticipo, in fondo quest’anno c’è qualche motivo in più per festeggiare. Sui Tg d’ambizione regionale, ma ad alto tasso di baresità, scorrono le immagini delle città pugliesi punteggiate di luminarie: dalla sventagliata natalizia per il momento le meno citate sembrano essere le località foggiane (c’è sempre tempo per rimediare) eppure già in pista con i loro svolazzi. Così a Candela è stato inaugurato il villaggio di Babbo Natale, a Manfredonia gli addobbi intorno al castello richiamano visitatori da altre regioni. La grande assente sarà purtroppo la città capoluogo, privata dai commissari prefettizi del suo albero in piazza Cavour, non delle luminarie promesse in alcune strade del centro. Il profilo dello skyline natalizio non sarà più lo stesso per chi osserva Foggia dallo stradone dell’isola pedonale. Il punto è capire quanto si protrarrà ancora questo stato comatoso che fa dire ai foggiani il peggio di loro stessi, quasi un’autoflagellazione «H24». Ci vorrebbe un po’ più di amor proprio per cominciare a invertire il retropensiero di buona parte dei nostri concittadini, qualche iniziativa non guasterebbe da parte dell’imprenditoria locale sempre pronta a dichiararsi favorevole soltanto a parole. L’università è il nostro training autogeno: il ciclo di incontri, “La città che vorrei”, cominciato il 6 dicembre è un importante momento di riflessione sui temi cruciali dell’attualità foggiana che punta a riconoscere il fenomeno mafioso insito nei comportamenti («anche i più banali», è stato osservato).
Proviamo allora a tirarci su, a chiederci: «Chi siamo?». Un tempo si sarebbe pensato a un’operazione di immagine” su Foggia e sui foggiani per sfatare anche molti luoghi comuni. Una sorta di “Circ du Soleil” della socialità da risvegliare, qualcosa che ci permettesse di tirar fuori i valori più nascosti della nostra storia (generosità, bonarietà, senso dell’ospitalità) che giacciono nel fondo dell’animo di molti di noi. Sentimenti coltivati per ragioni familiari o semplicemente perché li abbiamo ereditati scegliendo di vivere qui (non è questa la città dei forestieri?).
Se l’operazione fosse contemplata dalle misure previste per il commissariamento dei comuni colpiti da infiltrazioni mafiose, a Foggia oltre al riequilibrio legal-amministrativo si potrebbe affiancare l’azione di un mental coach che fosse in grado di risvegliare a ogni angolo di strada il senso di appartenenza dei cittadini oggi sepolto sotto una fitta coltre di rassegnazione. E’ solo un sogno, naturalmente, ma la complicità del Natale aiuta a ricaricare la leva dell’ottimismo. In fondo l’auspicio è che ogni goccia di buonumore, contribuisca a scavare un solco profondo nella roccia dell’animo buio che pervade le nostre coscienze a volte anche solo respirando l’aria che tira. Volete una prova? Alla cena organizzata dall’omonima fondazione “La Capitanata per lo sport”, davanti a ospiti illustri come il presidente della Figc Gabriele Gravina, è stato offerto uno spaccato molto dinamico della realtà foggiana costituita dalla forza di centinaia di atleti e di associazioni che lavorano nell’ombra e si fregiano di importanti risultati a livello nazionale e olimpionico. Eppure il filo conduttore della serata è stata la decadenza del sistema foggiano, seguito ovviamente dagli incoraggiamenti di rito dei vari ospiti intervenuti, primo tra tutti l’inossidabile Antonio Matarrese, ex presidente della Figc. In questo quadro poco consono al varo di una nuova realtà, ammettiamolo, persino un critico severo di Foggia e dei foggiani come Zeman ha ravvisato un certo imbarazzo per il contesto, giustificando il suo noto pensiero negativo con le «classifiche nazionali» sulla qualità della vita che mettono regolarmente Foggia nelle retrovie. Ecco, tirarsi fuori da queste tentazioni disfattiste sarebbe il minimo per cominciare a cambiar testa.

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