La libera informazione cardine della guerra in Ucraina

 

Siamo al punto in cui la storia rinnega platealmente se stessa. L’invasione russa dell’Ucraina più che una inedita riedizione dell’imperialismo austro-ungarico nel cuore dell’Europa, diventa un pretesto di annessione spregiudicato e fuori tempo massimo perché condannato dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. Rielaborare quel modello di espansione dimostra quanto rancore covi ancora nell’establishment della Russia di Putin, ma solo quella perché la “contaminazione” Occidentale del popolo – almeno nelle grandi città – ha introdotto modelli di vita e elementi di conoscenza che sarà difficile restaurare nell’epoca della globalizzazione e dei social network. In Russia è stato chiuso Internet, ma Meta (Facebook) aveva già disinnescato i suoi ordigni di libertà prima che ci pensasse la solerte polizia del Kgb a spegnerla. E 300mila russi che si sono accalcati alla frontiera con la Finlandia, decisi a passare dall’altra parte della barricata, testimoniano quale sia oggi la partecipazione, il grado di tensione e l’interesse del popolo russo per una guerra dal sapore nostalgico che forse nemmeno i generali vorrebbero. La Russia ripiomba dunque in queste settimane nel suo tragico destino, ma se gli Zar e la rivoluzione bolscevica erano riusciti a fare breccia nell’animo devastato di un popolo storicamente sottomesso e rassegnato agli eventi più cupi della storia, non sarà facile per il regime putiniano far valere le ragioni della sua assurda propaganda.

Oggi le informazioni circolano a dispetto della cortina di silenzio imposta dal regime, anche grazie a freelance che rischiano la vita in ogni momento per documentarci dall’interno le contraddizioni del regime putiniano. I cortei di protesta e gli arresti dei coraggiosissimi russi, scesi in piazza a Mosca rischiando l’arresto, aiutano l’Occidente a delineare meglio i contorni di una guerra assurda e persino tragicomica. La logica delle sanzioni punta a fiaccare il popolo russo nell’auspicio che a manifestare tra qualche tempo saranno in 30 milioni e non 30mila. L’informazione libera e indipendente sta giocando un ruolo cruciale in questa guerra. Si dice che i cecchini russi che domenica hanno ucciso Brent Renaud, fotoreporter e videomaker americano di 50 anni, non fossero sicuri di chi vi fosse dentro l’auto crivellata di colpi a Irpin (Ucraina). Ma non c’è dubbio che l’informazione fatta sul campo e a mani nude, rivesta un potere immenso che il regime putiniano considera un nemico forse più temibile delle cannonate sparate dalla coriacea resistenza ucraina con i missili della Nato. L’informazione (nella foto Giacinto Pinto, foggiano, inviato del TG1 a Odessa) è il vero mezzo di contrasto antisistema che può ingrossare i rivoli della “disinformazione” assai temuti da Putin e dai suoi strateghi: intaccare il ventre molle della società russo/sovietica, quella che vive nelle campagne remote della Jakuzia o del Krasnodar dove il Wi-Fi non sanno neanche cosa sia e ci si informa (quando si può) soltanto attraverso tubo catodico della tv di Stato, è una delle minacce più temute dal “caudillo” del Cremlino. Nelle immagini clandestine che vediamo scorrere sul web, l’Ucraina resta il paese da “denazificare” e gli oppressori sono gli ucraini stessi, sebbene occupati dai carriarmati di una nazione che non ha chiesto il permesso di entrare. Anche nel linguaggio il regime putiniano mostra la corda, non inventandosi nulla di nuovo: per occupare i Sudeti (territorio abitato da tre milioni di tedeschi al confine con l’ex Cecoslovacchia), primo scampolo di seconda guerra mondiale, Hitler utilizzò stessa retorica e stesso linguaggio. 

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