Conte, Renzi e il Campo largo… “Ma mi faccia il piacere”, direbbe Totò. Che i due non fossero d’accordo nemmeno per una partita a briscola era risaputo. Ma se la politica è l’arte del compromesso, questa volta però Conte non ha alcun interesse a trovarlo dovendo fare i conti anche con Grillo che vuole soffiargli il movimento. E tra i grillini presentarsi con lo scalpo di Renzi può portare voti alla leadership. A parte questi calcoli però i due proprio non si prendono, dai tempi dello strappo su Draghi che terremotò il secondo governo del premier foggiano. E poi, vogliamo dirla tutta? Renzi ha finora sempre svillaneggiato “Giuseppi”, lo sbeffeggiò quando per togliergli la fiducia ne fece anche una questione di curricula con l’ex presidente della Bce. Volete che oggi Conte non consumi la sua vendetta?
In effetti Renzi senza Campo largo è praticamente orfano sia di qua (centrosinistra) che di là (Calenda, gli resta Forza Italia ma operazione difficile dopo essersi così apertamente schierato con Elly Schlein). Conte ha fiutato che fosse questo il momento opportuno per affondare il colpo e non ha perso occasione per correre da Vespa a dichiararlo.
La portata dello scontro è paragonabile al bombardamento dell’Iran su Israele. Respinto al mittente. Solo che l’Iron Dome di Renzi è nella faccia di tolla che si porta dietro, l’eloquio spinto che non guasta e un innegabile fiuto politico. Sostanza poca. Per questo lo intervistano in continuazione, nonostante nell’urna non si schiodi dal 2%. Al contrario di Conte, più solido (nonostante l’hezbollah Grillo in agguato) in cabina elettorale e in grado di esercitare un peso sulla leadership del centrosinistra. Ma tra i due, sul piano delle cose da dire, non c’è partita: il foggiano pare ancora un apprendista in politica, per giunta si alimenta del suo rancore come quei vecchi democristiani che quando andavano in minoranza mettevano sul piatto le tessere per restare a galla. Renzi è un teorico della politica, i suoi concetti val sempre la pena ascoltarli, non necessariamente di condividerli. Purtroppo però l’altra faccia del fiorentino lo riporta a un leader spocchioso e infedele. Ha ragione da vendere Conte su questo punto.
A rimetterci è l’elettore medio: avesse avuto Renzi (o Conte) l’altra metà dell’altro, l’Italia avrebbe potuto finalmente contare su un leader di ben altro spessore. E invece l’impressione è che tra i due l’odio personale superi anche la soglia dell’intelligenza, per non dire della “real politic” che li spingerebbe in fondo a trovare un punto di sintesi. Come accade nel centrodestra che governa nonostante Salvini spinga sui sovranisti, Meloni sia costretta a rincorrerlo mettendo a repentaglio la propria carriera da leader europeo e riconosciuto, mentre Tajani progetti un riposizionamento al centro da Balena bianca che fagociti tutti quelli che gli stanno intorno.
Il Campo largo in frantumi non è nemmeno più una notizia per il Paese, dal momento che Conte (lasciato Renzi) avrebbe preso a punzecchiarsi con il Pd in forza di una pretesa ancorché mascherata leadership (data la differenza di voti) nello stesso schieramento. Insomma, l’alleanza non avrebbe retto nemmeno con il Pd e l’arcipelago del centrosinistra tutti insieme appassionatamente. Meloni & Co non temono scossoni dall’altra parte della barricata.
Il Campo largo continuerà a sopravvivere solo a livello locale: a Foggia, in Sardegna e in Puglia dove l’ammuina dei Cinquestelle potrebbe riportare in giunta i suoi assessori, dopo averli tolti a Emiliano. Così Conte che sognava di tornare a fare il premier, dovrà ripartire da più lontano, da quella provincia amica che potrebbe ancora aiutarlo a incidere trasversalmente sullo scacchiere nazionale. Renzi invece continuerà a essere leader di un partitino e darà sgambetti a destra e manca, finché sarà funzionale alla bisogna: spesso il giochino gli riesce. Meglio, molto meglio un ruolo da opinion maker per lui.