Il procuratore Vaccaro: la Capitanata per lo sport strumento antimafia

Alla fondazione “la Capitanata per lo sport” si domandano se non sia il caso di farsi lasciare le coordinate da chi la quarta mafia l’ha combattuta, per affermare e continuare a sostenere un impegno. L’incontro con Ludovico Vaccaro, procuratore capo a Foggia in procinto di andar via, non è apparso poi così inusuale se le sollecitazioni di Franco Ordine, storica firma del “Giornale” e decano dei giornalisti foggiani, del presidente Aristide Guerrasio e del direttore generale Sario Masi, hanno messo al centro la necessità di trasformare l’occasione del commiato per una testimonianza da lasciare ai posteri e che apra al tempo stesso un nuovo capitolo.

Foggia è a una svolta e anche il mondo dello sport sente il peso della responsabilità. La mafia foggiana per ora se ne sta zitta. Non spara più, piuttosto che le armi fa parlare i pentiti. Emergono i misteri irrisolti di qualche tempo fa. I capi sono quasi tutti dentro, legittimo temere – dopo anni di sottovalutazioni e di harakiri di Stato – che forse le nuove leve ne approfitteranno di questo vuoto per riorganizzarsi. Nel frattempo sono spuntati i primi collaboratori di giustizia. La tenaglia stretta intorno alla quarta mafia ne ha fatti venire fuori «una ventina», afferma Vaccaro. 

Qualcosa sta cambiando, ma molto altro dovrà succedere prima che la provincia di Foggia possa tirarsi fuori dalla palude di criminalità in cui si è infilata negli ultimi trent’anni. E chissà mai se davvero vi riuscirà. «Non bisognerà mai mollare la guardia, sarà necessario tenere alta l’attenzione e promuovere un impegno sociale che costruisca gli anticorpi contro il malaffare. Ci sono tutti i presupposti per ribellarsi e reagire a questo sopruso di violenza», aggiunge il magistrato che tra meno di un mese andrà a presiedere la corte d’appello a Lecce. 

Sono stati otto anni duri, complessi. «Quando arrivai nel 2017 (capo della procura di Larino: ndr) i tempi erano bui». Il 9 agosto di quell’anno un commando per fare fuori il capomafia Romito e il suo autista non esitarono a uccidere due innocenti, i fratelli Luciani, che si trovavano sulla traiettoria del boss. La strage di San Marco in Lamis fece comprendere allo Stato e agli organi inquirenti che la mafia dei «quattro pecorai» aveva fatto il salto di qualità. 

 La legittimazione di un impegno, sarà allora costruire reti di partecipazione e di interesse di cui la fondazione sente di potersi fare portavoce. Qualcosa è stato già fatto. Ma l’ottimismo sfoderato dal procuratore foggiano, suona per il momento solo come un salutare buon auspicio. «Lascio nella consapevolezza che qualcosa in questi anni è cambiato. Nel 2017 non c’erano collaboratori di giustizia, oggi le inchieste della magistratura, l’impegno delle forze dell’ordine sono riuscite a scardinare un meccanismo ancora molto complesso e sul quale bisognerà lavorare ancora molto per avere ragione. La società foggiana sta però mostrando di avere gli anticorpi per venirne fuori».

L’omaggio della fondazione: da sinistra Aristide Guerrasio, Ludovico Vaccaro, Franco Ordine 

 

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