Francesco aveva voluto richiamarsi agli umili, unico Papa nella millenaria storia della Chiesa. La sua cifra fu un gesto sorprendente nell’apostolato di carità e devozione del cattolicesimo. Ha mantenuto quella soglia di guardia per tutto il suo pontificato, l’ultima svogliata stretta di mano, il giorno di Pasqua, a J.D. Vance si stinge in quel finale di coerente spiritualità.
Bergoglio probabilmente non ha fatto in tempo a prendere le distanze dall’America trumpiana, reazionaria e faziosa, ma aveva condannato le deportazioni di massa dei migranti “latinos” ammanettati e spogliati di ogni dignità, così come avrebbe disapprovato le convenzioni da setta religiosa con le quali Trump e i suoi ministri si sono presentati sulla scena mondiale all’atto dell’insediamento.
Ma il diavolo tentatore ha cercato ostinatamente un contatto con il più umile dei servitori, come se l’America trumpiana necessitasse di quel beneplacito rassicurante per compiacere l’elettorato bigotto e settario che l’ha portato al potere.
In quella stretta di mano con il vicepresidente degli Usa c’è tutto il messaggio «politico» del pontefice che ci ha lasciato. Un Papa che potrebbe aver tracciato il segno, nella scelta del successore, per un’opposizione decisa anche della Chiesa all’arroganza del potere, come avvenne con Wojtyla con la caduta del Muro di Berlino.
Bergoglio ha saputo dosare la sua realpolitik con il messaggio evangelico, ponendosi al centro dei destini del mondo senza limitarsi nelle sue rampogne contro i potenti. Un fine conoscitore del mondo e dei suoi equilibri, come quando in un’intervista di qualche anno fa riconobbe nel presidente russo Putin «un uomo di grande cultura».
Lo diceva Nicolò Machiavelli: “La saggezza consiste nel saper distinguere la natura del problema e nello scegliere il male minore”.
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PASQUA – J.D. Vance con il Pontefice (credit YouTube)