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L’inter di Monaco con le toppe al pranzo di gala

L’Inter indecente di Monaco di Baviera come l’italietta nostrana: a livello internazionale restiamo pizza, spaghetti e mandolino. La squadra di Inzaghi doveva comportarsi da armata invincibile, come l’impressione destata nella fase a gironi e invece si è sciolta sul più bello. Il 5-0 non è solo il risultato più catastrofico rimediato da una finalista di Champions nella storia di questa competizione: diventa anche un umiliante step di aggiornamento del paese che calcisticamente siamo (una finale europea vinta, la Roma in Conference, su sei disputate negli ultimi 5 anni).

L’Inter di Inzaghi si è presentata al pranzo di gala senza aver sbirciato nemmeno una volta il galateo. Luis Enrique, tecnico dei parigini, aveva pensato di mettere un marcatore fisso su Sommer, il portiere interista, fulcro delle ripartenze. Ed ha continuano a farlo anche quando il PSG conduceva 3 e 4 a zero. Ma al tecnico dei nerazzurri non è passata nemmeno per un attimo l’idea di cambiar tema tattico facendo ripartire l’azione con il classico e antiestetico rinvio a metà campo, così da guadagnare quei 30-40 metri di campo e respingere l‘assedio sistematico degli avversari che in reticolo cingevano l’area e regolarmente rubavano il pallone ai nerazzurri.

A un certo punto persino Enrique si è affidato al rinvio del portiere, nella ripresa e con il risultato già saldo, per respingere la prevedibile maggior pressione degli interisti.

L’Inter è arrivata all’appuntamento più importante della stagione senza uno straccio di tattica alternativa e di preparazione sul conto dell’avversario. Un misto di supponenza e di superbia hanno fatto il resto. Ha ragione Marotta, a fine partita, quando fotografa la crisi del calcio italiano con la fuga dei campioni e con le spese illimitate di cui godono gli altri club per trattenere i migliori. Il PsG degli sceicchi è l’esempio più evidente, anche se i parigini arrivano al trofeo dopo quattordici anni.

Ma è una verità parziale quella del presidente interista. Perchè il PSG ha vinto non quando aveva in squadra Mbappè e Messi, ma quando ha deciso di affidarsi a un tecnico pratico e intelligente come Luis Enrique, molto migliorato anche rispetto al suo precedente trionfo in Champions con il Barcellona giusto dieci anni fa e con un’altra italiana, la Juventus di Allegri e dello stesso Marotta direttore generale (sarà un caso?).

Non sono i miliardi a far vincere, magari pure quelli: conta ancora il progetto, l’umiltà delle idee e la forza di provarci. Anche scommettere: il formidabile Douè (doppietta), 20 anni, il prossimo 5 giugno, non doveva nemmeno giocare e invece ha aperto la partita come con un apriscatole.

La vittoria del PSG è una vittoria del calcio vero e puro di una volta. Anche l’Inter, a modo suo, avrebbe voluto vincere alla vecchia maniera, ma con il mestiere: affidando al 38enne Acerbi il compito di mettere la museruola al giocatore più offensivo dei parigini, fosse Dembelè o lo stesso Douè, che in area non si sono mai visti girando al largo e risultando imprendibili. Una sonora lezione per l’Inter del volenteroso Simone Inzaghi e per l’italica concezione di un calcio che ha bisogno di aggiornarsi passando dalle scuole calcio, non dal box office del mercato.

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