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Referendum, sarà un voto (solo) politico

Non sono una cosa seria questi referendum. Non per i quesiti che propongono, ma per la banalizzazione che in taluni ambienti si cerca di imporre a cominciare dalle ineffabili ipocrisie («non ritiro le schede…») della premier Giorgia Meloni. Se poi ci mettiamo l’irridente postura sull’argomento di Ignazio La Russa, nientemeno che del presidente del Senato, seconda carica dello Stato, verrebbe davvero voglia di auspicare il successo della consultazione per il solo gusto di assestare un ceffone alla tracotanza delle nostre più alte cariche, nei confronti degli elettori tutti.
La vera partita si gioca sul raggiungimento del quorum, l’agognato 50+1, bella scoperta certo. Ma l’impressione è che lo avessero soppesato e meditato da tempo i promotori della Cgil, il messaggio da affidare a questa consultazione.
Chiariamo subito che i temi su cui si intende metter mano sono tutti meritevoli di riflessione perchè di pronto impatto sulla pubblica opinione. Allargare anche al committente, non solo al subappaltatore, la responsabilità solidale di un incidente sul lavoro (scheda rosa) significa garantire alla famiglia della vittima la giusta e doverosa copertura economica del danno e non scaricare tutto sull’ultimo e penultimo ingranaggio della filiera, in genere l’impresa che fa il lavoro e che deve accontentarsi dei ribassi su ribassi del budget stabilito.
Giusta la riflessione anche sui tempi della cittadinanza degli immigrati (gialla), anche se tra i 5 anni (il limite di tempo proposto per averla) e i 10 attuali cambia poco se non si mette mano alle norme enormemente farraginose della burocrazia italiana.
Sul Jobs Act, i licenziamenti facili (scheda verde), la norma conteneva più di qualche dubbio sulle capacità difensive del lavoratore messo alla porta per giusta causa, già ai tempi del governo Renzi (2015) che se ne intestò la paternità. Ma oggi che il mercato del lavoro è diventato nel frattempo ancor più flessibile e liquido, obbligare il datore alla reintegra forse non conviene più nemmeno a chi ha perso quel posto. Più condivisibile da parte del lavoratore (meno del datore) chiedere l’elevazione dell’indennità oltre le sei mensilità attuali (scheda arancione) previste oggi. Libertà di scelta comunque. E sempre in tema di lavoro (scheda grigia) anche il terzo quesito fa a pugni con la flessibilità spinta dei nostri giorni, con l’introduzione dell’obbligo per il datore di indicare i motivi del contratto a tempo determinato anche sotto i dodici mesi.
Votare è forse la più alta dimostrazione della nostra libertà, allenamento utile e salutare anche per scongiurare che i massacri di Gaza e in Ucraina diventino un pensiero convenzionale.

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