Non è soltanto una difesa corporativa, affermare l’importanza del ruolo dei giornalisti sulle colonne di questo blog. Quanto accaduto ieri a Gaza city, dove l’esercito israeliano ha ammazzato 5 reporter di Reuters, Al Jazeera, Associated Press e un freelance che documentavano dei massacri nella Striscia, è un agguato alla verità di cui si è cibata finora la nostra democrazia. Sparare deliberatamente su giornalisti, medici e soccorritori perché non documentino le aggressioni sulla popolazione inerme, non curino le ferite dei sopravvissuti è un gesto sovrumano che oggi, come ieri, non si deve sapere.
Ma qualcosa non torna più, anche rispetto ai fatti più orrendi del nostro recente passato (come dimenticare il genocidio di Srebrenica, Bosnia, luglio 1995) se Israele, in preda alla più cieca vendetta contro i terroristi di Hamas, oltrepassa ogni limite e bombarda pure gli ospedali. A quanto sembra non è sufficiente lo sdegno di quasi tutte le cancellerie del pianeta per fermare la furia dell’esercito di Tel Aviv: fin quando potrà mai giustificare il dovere di rappresaglia?
E’ una deriva pericolosa, ci riporta indietro ai massacri di Pol Pot, alle purghe staliniane, ai deliri dei campi di concentramento. Ma questa volta ci accade tutto sotto gli occhi e quel che vediamo, quel che sappiamo, lo dobbiamo ai coraggiosi testimoni del nostro tempo che rischiano la vita pur di documentarci l’orrore e la tragedia del popolo palestinese e dei martiri in camice, caschetto e tablet che sono lì a difenderli.
Sta saltando qualcosa, sia pure in certe tragiche convenzioni quali possono essere le azioni di una guerriglia, se si uccide a viso aperto e poi al limite si porgono le “scuse” come fa il primo ministro Netanyahu. Tutto quel che di peggio è accaduto su questo nostro mondo è venuto fuori solo a posteriori o comunque tenuto ben nascosto alla luce dei riflettori. Persino i più sanguinari dittatori dell’epoca moderna tenevano alla censura sulle loro nefandezze: il popolo tedesco si accorse della Shoah quando l’esercito sovietico entrò per primo nel campo di concentramento di Auschwitz (1945).
Solo una forza persuasiva potrebbe fermare questo scempio, ma gli Usa di Trump continuano a fiancheggiare i massacri e il resto del mondo si è girato dall’altra parte. Il Vaticano è «allibito», la diplomazia non fa passi avanti: non sarà mica che finiremo per avere nostalgia del mondo di ieri?
