Giorgio Armani

Giorgio Armani, l’autentico perduto

Giorgio Armani non credeva nell’aldilà: «Finisce tutto qua», diceva con l’incrollabile convinzione di chi era riuscito a prevedere le curve della vita, persino nella scelta – ricordava con orgoglio – di mettere al riparo le sue attività quando sull’umanità incombeva il flagello del Covid. La sua successione è stata pianificata con la coerenza e il senso della misura che ne fanno la cifra di un impero economico e commerciale da 13 miliardi di euro. Eppure la sua è stata una grandeur cosiddetta “artigianale”, nulla a che vedere con le maison dell’alta moda che fatturano decine di volte tanto, ma che ormai producono non più per il mercato bensì per gli analisti finanziari. 

Sta proprio qui il dilemma dell’Italian style nel mondo. Un marchio globale che ancora affascina milioni di consumatori, ma su significati, metodologie di produzione, impianti e regole diverse, rielaborati – per non dire umiliati – dalla contraffazione vero “sole ingannatore”. Non solo di abiti e/o borse: avete mai ordinato gli spaghetti alla Carbonara in un qualunque ristorante nel centro di Roma? I sapori sono annacquati, il gusto di una volta si va affievolendo: purtroppo anche tra gli italiani di nuove generazioni, e in fondo gli stranieri che ne sanno? E’ forse l’esempio più classico dell’inganno che attenta al nostro palato, ma se ne potrebbero elencare decine di altri.

Ebbene l’Italian style, o almeno certi dogmi che ci hanno reso famosi nel mondo, non riescono più a tenere il passo dei ritmi imposti dall’industria del consumo spinta dai ritmi cinesi e anche il pret a porter, per restare sulla moda, è un elemento di democratizzazione al ribasso (per i prezzi esigui) abbastanza subdolo, perché finisce per svendere anche alle nostre latitudini quelli che un tempo venivano considerati valori: il lavoro di chi c’è dietro, il rispetto per il consumatore più avveduto. 

Martire di una globalizzazione impazzita come una maionese nell’insalata russa è da tempo la Ferrari, campione di vendite delle sue supercar in tutto il pianeta, eppure costretta da decenni ad arrancare dietro marchi di bibite o di gran tradizione motoristica ma di nicchia che oggi però combinano meglio sagacia ingegneristica, spirito imprenditoriale e finanziamenti molto più elevati. E la Rossa, altro modello artigianale, che non si evolve, si accontenta di star dietro almeno fin quando i tifosi non si decideranno ad abbandonarla.  

Con Armani adesso cosa accadrà? Il sovrano dell’Italian style nella moda era lo stilista della semplicità, emblema riconosciuto e immanente del buon vivere. Un marchio di fabbrica, minacciato da refoli e spifferi da tutte le parti. E che avevano già minacciato la granitica riluttanza a vendere del Fondatore. 

Ma difendere l’integrità della Giorgio Armani, così come della Ferrari, dovrebbe essere la vera grande missione di un paese che può sopravvivere alla atrocità del tempo e continuare a farsi largo nel mondo, propalando il suo gusto, la sua tradizione, il coraggio delle proprie scelte.    

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