Nei binocoli della Flotilla c’è la costa di Gaza: qualche altra ora di navigazione, poi Israele potrebbe trovarsele di fronte le decine di piccole imbarcazioni salpate un mese fa dai porti di Genova e di Barcellona, a bordo viveri e medicinali per la martoriata popolazione palestinese in fuga dalla Striscia. Ma la scena si consuma in uno stallo politico e diplomatico senza precedenti: l’Occidente si è ridotto a osservare, con malcelato fastidio dei governi di destra, cosa riuscirà a fare quel manipolo di volontari che con una buona dose di incoscienza (calcolata?) sfidano gli obici del’Idf.
La vicenda delle «barchette» in viaggio verso Gaza è la dimostrazione del senso della misura ormai smarrito. Israele dal 2011 (non dopo il 7 ottobre 2023) ha montato il blocco navale davanti Gaza e ne controlla i rifornimenti, per evitare che siano i terroristi di Hamas a procurarsene. D’accordo, con il buonsenso non si fa politica: ma se non ci sarà qualcuno che accenderà la luce, anche l’incursione della Flotilla (ufficialmente: iniziativa umanitaria) finirà per essere un altro capitolo della saga dei nonsensi che registriamo continuamente negli ultimi anni.
Forse non a caso è stato coinvolto nella partita il 72enne Tony Blair, ex leader laburista, ma ormai fuori da decenni dalla scena?
Dalla guerra di Putin in poi (febbraio 2022), il tavolo della diplomazia è andato sempre più inclinandosi. E se Israele ha messo a ferro e fuoco Gaza, con l’intento di estirpare Hamas, dall’altra parte dell’Oceano l’elezione di Trump rappresenta il completamento di un quadro geopolitico in fase di accelerata mutazione.
Da questo punto di vista andrebbero salutati come barlumi di ottimismo alcuni segnali: come l’elezione degli europeisti alla guida del nuovo governo della Moldavia. Il ricorso all’ex premier inglese, un leader moderato, per l’attuazione del piano «stop war» imposto da Trump al primo ministro israeliano Bibi Netanyahu, è però una sconfitta. Il leader americano non ha altri argomenti per essere convincente con il suo storico alleato?
L’hanno presa alla larga per finire le ostilità: lo scambio dei prigionieri con Hamas, dovrebbe essere il preludio per la fine della guerra nella Striscia. Ma l’opinione pubblica mondiale appare così frastornata dagli eventi che sembra ormai incapace di distinguere le mosse buone da quelle cattive. E si registra anzi una temibile assuefazione a queste ultime.
Così la Global Sumud Flotilla si avvia a fare il suo ingresso nella zona del blocco navale quasi irridendo l’avversario, in questo caso il governo israeliano. Se fosse la sceneggiatura di un film, si potrebbero scrivere almeno due finali. Il primo, quello più auspicabile prevede che Israele (su ordine degli Usa) apra la trattativa con Hamas proprio mentre le «barchette» stanno per sfidare il blocco navale. E volete che i carri armati di Bibi si mettano a sparare contro gli inermi volontari?
Il secondo finale è però il più verosimile almeno per alcuni governi tipo quello italiano (il ministro Crosetto si augura che i volontari finiscano in arresto): Hamas respinge l’accordo, Israele così ha pronto l’alibi con gli Usa per «completare il lavoro» (ripete Netanyahu), a quel punto si salvi chi può: Israele potrebbe limitarsi a fermare le barche, forse ad arrestare i promotori dell’iniziativa. Oppure…
La furia iconoclasta dei militari israeliani potrebbe scagliarsi contro quel “branco” di sfaccendati che hanno tempo da perdere per restarsene un mese in mezzo al mare alle spalle dei poveri di Gaza “che vanno aiutati”. Lo pensa tutto un certo e corposo mondo di cosiddetti sovranisti, inutile girarci intorno.
