Ghetto

Storia di un fallimento annunciato

C’erano oltre cento milioni di euro per cancellare la «vergogna» dei ghetti dei migranti in provincia di Foggia. C’erano, il verbo resterà al passato. Quei fondi sono stati ritirati dall’Unione europea con la consueta intransigenza burocratica: impossibile cominciare a spenderli entro il 30 giugno 2026 quando il finanziamento sarà scaduto. 

Adesso tutti parlano di «ennesima sconfitta» del territorio per non aver previsto un piano di spesa. Ma questa è retorica spicciola. La spiegazione sarebbe molto più semplice: i comuni di Foggia, Manfredonia e San Severo, hanno sempre considerato la cosa come una perdita di tempo. I ghetti dei migranti resteranno là dove sono da vent’anni: a chiuderli ci penseranno, chissà, gli stessi inquilini attuali quando si renderanno conto che il lavoro agricolo nelle campagne circostanti scarseggia sempre di più. La storia del finanziamento Ue mai speso è dunque la cronaca di un fallimento annunciato. 

Poteva essere l’occasione per la politica e le amministrazioni locali di andare oltre lo steccato delle emergenze infinite, ma che forse oliano ben più ramificati interessi dei 114 milioni mossi dall’Ue. Anche le università avrebbero potuto mettersi alla prova, provare a immaginare un’operazione sociale, culturale e politica insieme che avrebbe nobilitato il proprio ruolo e l’immagine di un’area tra le più bistrattate del paese. 

Ma forse in questi tempi così di corsa sono concetti superati. 

Tuttavia parliamo di un insuccesso clamoroso. La dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, dell’incapacità politica e imprenditoriale dei popoli a Nord della Puglia di saper immaginare qualcosa di nuovo per il futuro dei propri figli.

Un’ignavia svelata proprio dalla nascita di quel finanziamento: fu l’Unione europea, non i comuni del Foggiano e neanche i tre prefetti succedutisi al palazzo del governo, ad accorgersi della «bomba» dei ghetti. Luoghi chiamati così forse impropriamente perché nei campi di concentramento nazisti c’era un ordine del male. I ghetti della provincia di Foggia sono nati dal nulla, ancora oggi gli abitanti (duemila? tremila?) sono considerati «invisibili» ed a nessuno è mai venuto in mente di andarli a identificare, se si eccettuano datati e approssimativi censimenti di qualche anno fa. Gli invisibili che sfuggono all’anagrafe e si identificano solo nei codici delle proprie tribù. 

L’operazione calata dall’alto avrebbe dovuto immaginare per loro un luogo di convivenza controllata, prevedere la costruzione di abitazioni civili. Non sarebbe stato facile per le comunità ghanesi e nigeriane, ritenute da un vecchio censimento della Cgil le più popolose, infilarsi in container di muratura o moduli a schiera come qualche progetto circolato in questi anni andava proponendo: idee bocciate dagli africani (in larghissima parte) che vivono nelle baracche. Ma quei ricoveri di legno e lamiera, con la corrente elettrica (da dove arriva?) che fa scoppiare un incendio alla prima stufetta accesa, non possono rappresentare, neanche per chi è abituato a viverci lì dentro, una soluzione ottimale.

Si sarebbe, allora, potuto cercare un compromesso almeno su questo punto. Se ne contano a decine ogni anno di incendi nell’area di borgo Mezzanone, l’ipocrisia dello Stato è arrivata a tal punto che da anni è stata distaccata una stazione dei vigili del Fuoco, per spegnere prima possibile il rogo prima che le fiamme divorino tutto. 

Ma no, tranquilli: i ghetti sopravviveranno a se stessi per l’indifferenza e lo scarso coraggio, qui i popoli sono assuefatti al peggio e incapaci pure di indignarsi. Alla gente del Foggiano, diciamolo francamente, interessa poco che da San Severo, fino alle porte di Foggia, vi siano ampie aree ormai inaccessibili, inospitali e malsane. 

Per chi arriva in aereo nello Sperone d’Italia, non è impossibile accorgersi della presenza, vicino alle città, di questi agglomerati di degrado e miseria: ma quanto sono concreti i timori che le bidonville d’Europa, come a Lagos o nei territori della Guinea Bissau, si trasfigurino nelle aree oggi civilmente occupate? Un punto di vista che può far discutere, ma da non sottovalutare: perché già oggi gli «invisibili», occhio e croce, sono più visibili degli abitanti stessi.    

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