La Boeing e il gruppo Leonardo, quando Foggia sognava in grande 

Non è crisi vera quella che colpisce il gruppo Leonardo, la più grande industria aeronautica di Stato ha infatti chiuso il 2021 con 9,6 miliardi di ricavi e utili per 229 milioni, in crescita rispetto al 2020. Però in Puglia è scattato l’allarme per gli oltre 3mila lavoratori occupati nei due grandi stabilimenti di Foggia e Grottaglie, con la cassa integrazione scattata sul finire dell’ultimo anno e che riguarderà (dovrebbe riguardare) tutto il 2022. Il problema deriva, manco a dirlo, dal Covid che riduce il numero dei passeggeri e da un anno ha messo in ginocchio decine di compagnie. E se gli aeromobili restano a terra si riducono anche gli ordini per i nuovi aerei, di qui i tagli alle commesse che hanno colpito anche l’aereo più commerciale al mondo qual è l’avveniristico Boeing 787. Il velivolo point-to-point, lo ricordiamo, nasce per oltre il 50% in Puglia: a Foggia vengono realizzati gli stabilizzatori di coda, a Grottaglie due sezioni di fusoliera (dieci al mese secondo gli accordi, ora scese a sei). 

I due stabilimenti non sono gemelli e non si sono quasi mai interfacciati sulle linee di produzione se non riguardo alla specifica commessa del Dreamliner (oltre a qualche lavoratore spostato di qua e di là). Un passo indietro può aiutare a comprendere le ragioni di questo strano distacco tra impianti dello stesso gruppo: quando si decise di costruire il secondo stabilimento dedicato alla sola fusoliera di un singolo aereo – a cavallo degli anni Duemila – Foggia, che pur ospitava l’unica fabbrica di Alenia in Puglia, sembrava fosse la sede naturale per ospitare la nuova linea del Dreamliner. Ma non fu mai presa in considerazione dai vertici di Alenia, dal governo e dalla politica locale, perdendo così la sua più grande scommessa industriale e tecnologica praticamente senza poter entrare in campo. Eppure ad essere ingenui verrebbe spontaneo chiedersi se non fosse più logico realizzare il secondo stabilimento là dove già c’era il know-how tecnologico e produttivo anche sui materiali, in forza peraltro del centro di eccellenza sulla fibra di carbonio. C’era spazio sufficiente per costruire anche la pista da 3mila metri per i cargo della Boeing, nel vecchio aeroporto militare a poco meno di 2 chilometri in linea d’aria dalla Leonardo sul quale oggi si espande in tutto il suo degrado la più grande baraccopoli del paese. La politica (di ogni schieramento) e l’imprenditoria foggiana non provarono nemmeno a mettere in discussione quel disegno che poi si realizzò. Ma quell’interrogativo a distanza di vent’anni rimbalza oggi come un macigno sulle disgrazie di una provincia devastata dall’avanzare dei ghetti degli immigrati, dopo l’espansione della baraccopoli di borgo Mezzanone che ha avuto come effetto moltiplicatore l’insediamento di altri piccoli insediamenti su tutto il territorio provinciale favorito dal decentramento del primo “Gran Ghetto”. Nel 2005 lo Stato aprì in Capitanata il Cara (centro richiedenti asilo), ma è con lo sgombero forzato del ghetto di Rignano ad opera della Regione (marzo 2017) che l’area dove un tempo esisteva il vecchio aeroporto militare diventa la bidonville che è oggi con presenze (abusive) che variano da 1500 a oltre 2mila persone nell’anno medio. Dunque mentre Foggia si dibatteva con i ghetti, la fabbrica della Boeing aveva da tempo preso il largo. 

Ora alla luce del calo degli ordini, tra i lavoratori a Foggia si fa strada il sospetto che Grottaglie con i suoi ordini dimezzati non finisca per trascinare nel vortice anche l’azienda madre. D’accordo, lo stabilimento foggiano forte del ventaglio di committenze non teme le conseguenze della monocoltura. Ma a volte la storia si ripresenta: la metafora del vecchio aeroporto calpestato dai ghetti e dalla cattiva politica resta un incubo sullo sfondo che non sarà facile dimenticare.

 

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