Tano Grasso docente all’università di Foggia, l’Antiracket si struttura

 

Parlare di mafia agli studenti può essere un segnale di distrazione di massa. Dei malavitosi soprattutto. Il pensiero lo riassume con cruda efficacia il rettore dell’università di Foggia, Pierpaolo Limone: «Nel nostro ateneo nascono idee innovative fuori dagli schemi, cose difficili da capire per la mafia e che ci auguriamo portino presto economia al territorio». Imprese, per meglio dire spin-off, probabilmente oggi inattaccabili dalla prepotenza estorsiva che in fondo conserva metodi rudimentali nel suo essere strumento di coercizione. Attenzione tuttavia a non sottovalutare troppo una mafia arcaica, ma che gode della pressoché totale omertà della popolazione spaventata com’è dalle azioni eclatanti tornate in auge in questi ultimi giorni con le bombe davanti ai negozi. «E’ questo il loro modo di fare marketing, di comunicare all’esterno che ancora ci sono», avverte Tano Grasso, neodocente dell’università dauna (il suo corso su “Letteratura e mafia” nel prossimo semestre). Il fondatore dell’antiracket italiano non è sorpreso dall’escalation criminale in Capitanata: «A San Vito dei Normanni, nel 1994 – rammenta – ci furono in un anno cento bombe. Da un giorno all’altro sparirono: la mafia locale comprese che non era più il caso di insistere, se la popolazione e le vittime predestinate reagivano in modo diverso». Del resto se la domanda esiste – e prospera da oltre trent’anni in provincia di Foggia – è perché riesce ad assoggettare con la violenza e con le minacce un’offerta (imprenditori e commercianti) che paga «per non avere noie»: l’equazione è quasi una legge di mercato. Anche oggi che il crimine in altre zone del paese si industrializza, il racket resta il core-business della sempre più rapace criminalità foggiana, strumento ancora efficace per incrementare il business del malaffare e tenere sotto scacco il sistema imprenditoriale. Salvo rare eccezioni, sedute tutte in prima fila davanti a Tano Grasso (nella foto l’incontro in aula magna del dipartimento di Scienze umanistiche): il presidente dell’associazione Antiracket foggiana, prossima al varo, Alessandro Zito; Lazzaro D’Auria imprenditore agricolo già colpito da una serie di intimidazioni (il 31 agosto 2021 fu incendiato un capannone della sua azienda a San Severo); Luca Vigilante finito nel mirino di ripetuti attacchi giusto un anno fa al centro sociale “Il sorriso di Stefano” a Foggia. Qualche «crepa nel muro si avverte», annota Daniela Marcone vicepresidente di Libera. Non a caso l’università continua a parlare di mafia davanti agli studenti, coscienze responsabili del domani che in quelle aule si intende costruire. E che il capo della procura di Foggia, Ludovico Vaccaro, indica come «speranza di un futuro migliore», premesse da cui ripartire anche con l’aiuto delle indagini e celebrando i processi, in quel mix di legalità e giustizia che in Capitanata fa fatica a tenere il passo con l’escalation criminale come ripetutamente denunciato dal magistrato foggiano: «Almeno tre nuovi presidi giudiziari in questa provincia». 

Ebbene l’università di Foggia con il ciclo di incontri «la città che vorrei» confida che le crepe sul muro diventino brecce, l’auspicio delle docenti Rossella Palmieri e dell’antropologa Patrizia Resta animatrici di un dibattito sull’antimafia sociale che finalmente anche a Foggia sta mettendo radici. Sintomatico come l’incontro con l’icona della rivolta antiracket sia stato tenuto nel mezzo degli attentati che da inizio d’anno sconvolgono il Foggiano (tra il capoluogo e San Severo) e proprio alla vigilia della costituzione, il 17 gennaio, della prima associazione Antiracket di Foggia intitolata ai fratelli Luigi e Aurelio Luciani, vittime innocenti dell’agguato di San Marco in Lamis il 9 agosto 2017, riedizione (speriamo meno infausta) del precedente fallito tentato qualche anno fa. Tano Grasso, con la solita consumata franchezza, sottolinea questa particolare congiuntura: «Sarebbe un crimine sprecare questa occasione, gli attentati di questi ultimi giorni descrivono la realtà che la mafia vorrebbe instaurare a Foggia e nella sua provincia». 

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