Un altro Peppino Di Vittorio? “Ma mi faccia il piacere”, direbbe Totò. Nella retorica usa e getta di oggi, bastarono le urla al megafono di un arguto contestatore ivoriano ad affiancare lo storico sindacalista dei cafoni alla versione del populista nero. Aboubakar Soumahoro – oggi accusato di sfruttare chi diceva di difendere – come paladino dei più deboli ha fatto le ossa in provincia di Foggia e nella bidonville di San Ferdinando in Calabria. E’ stato efficace per far comprendere al grande pubblico i problemi dei braccianti migranti. Ha rotto gli schemi, obbligato gli altri sindacati a seguirlo. Si è capito però abbastanza presto che mentre il mito di Soumahoro cresceva, i riflettori sulle sue battaglie si spegnevano. Nessun solco in questi anni è stato tracciato dal rutilante tribuno, eppure è sempre stato efficace con l’eloquio e nello spettacolarizzare la lotta. Un giorno per organizzare l’ennesima marcia bracciantile, portò i suoi accoliti in Cattedrale a Foggia e il parroco fu ben lieto di aprirgli le porte.
E’ un carrarmato Soumahoro, ma in fondo nemmeno lui è riuscito a rompere il muro dell’indifferenza e del calcolo politico per una maggiore considerazione della lotta migrante. Fu il primo a ipotizzare lo “sciopero” della raccolta del pomodoro. “Vi faremo marcire il frutto nei campi”, minacciò. Un’idea potente, che un giocatore di poker come lui avrebbe potuto giocare fino in fondo. Ma poi cambiò registro, quando forse si accorse che la simulazione poteva diventare realtà.