La macchina del fango e Foggia che non si schizza

La macchina del fango che ha preso a schizzare vorticosamente in questi giorni in città sul conto di due candidati sindaci (Di Mauro e Mainiero), è un esercizio retorico che in altre epoche a Foggia nessuno mai si sarebbe preoccupato di denunciare. La trasparenza e la trasversalità dei clan era cosa nota negli atti della pubblica amministrazione, lo rivelano oggi le inchieste della magistratura ma lo sospettavano (e lo subivano) all’epoca in molti. Le batterie avevano scoraggiato misure e interventi cruciali per la vivibilità cittadina, come ad esempio il potenziamento della videosorveglianza. Ma c’è di più: alzi la mano chi si è mai posto il problema di incrociare lo sguardo, prendere un caffè, scambiare due chiacchiere con questo o quell’”amico di…” se non proprio ad accompagnarsi a soggetti chiacchierati o dichiaratamente dall’altra parte della barricata, tanto era pervasiva – e se vogliamo lo è ancora – quel tanfo di libertà confuso. Dunque, sorprendersi oggi per le parentele distanti di questo o quel candidato sarebbe solo il sintomo di un revanscismo giustizialista se vogliamo anche inevitabile, dopo tutto l’armamentario di arresti, inchieste, commissariamenti che questa città si porta dietro. Ma sarebbe giusto la sensazione di un momento: basterebbe guardarsi intorno per accorgersi che nel brodo di coltura che gli uomini di legge descrivono come “mafioso” – un brodo fatto di mezzucci, imbrogli piccoli e grandi, meschinità varie – la città è ancora immersa. Anche se è lecito attendersi che dopo tutto quanto avvenuto in questi anni qualche coscienza sarà pure scalfita. Perchè dopotutto “lor signori”, loro affiliati e consimili continueranno ad aggirarsi indisturbati magari pensando di poter continuare a far qualcosa anche alle prossime elezioni. 

La questione è banale, ma va detta con brutalità: per innalzare la soglia di guardia i cittadini foggiani dovrebbero cominciare a distinguere la consuetudine di certi comportamenti mandati a memoria per così lunghi anni, da ciò che sarebbe giusto ora fare per chiuderla davvero questa pagina oscura. Non tutti hanno i mezzi per farlo, in città sussistono sacche di povertà culturale e di miseria dure a morire. Un sussulto – è l’auspicio – dovrebbe almeno cogliere i ceti più abbienti, la “classe dirigente” abituata a vivere sottocoperta. Incrociamo le dita.     

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