L’Università e il suo muro di gomma

 

Dietro il paravento dei numeri, si agita la contestazione incalzante. Ma sono proprio quei numeri – positivi e scintillanti di oggi dell’università di Foggia – a fornire benzina da gettare sul fuoco. Pensate a un’università depressa, vittima dei suoi guai: chi se la filerebbe? Oggi invece che il ventre è molle con un rettore – si dice – accomodante, si può puntare direttamente al banco. «Non decide nulla», l’accusano i quattro direttori di dipartimento che alla vigilia dell’inaugurazione dell’anno accademico hanno pensato di ritirargli la fiducia, avvelenando i pozzi. Costringendo – voci di corridoio – la ministra Bernini che già fece una toccata a fuga quando il partito la spedì in Capitanata a sostenere la candidatura di Raffaele Di Mauro (Forza Italia) a sindaco di Foggia, a restare nel confortevole ufficio al ministero riempiendo di scuse il suo intervento in collegamento remoto.

Allora, il rettore già spalle al muro? Manco a farlo apposta Lorenzo Lo Muzio è stato proprio da lì che ha voluto cominciare il suo discorso inaugurale. «Mio compito è decidere e respingere gli attacchi di chi vuole il cambiamento», ha sferrato gli artigli dietro la rassicurante bonomia. Più che molle, rimbalzante: Lo Muzio appare in questa fase come un muro di gomma, gli scivola tutto addosso. E nelle interviste post-cerimonia risponde così alle critiche: «Come succede nelle riunioni di condominio, abbiamo saltato qualche argomento all’ultimo ordine del giorno (Senato accademico, domani 31 gennaio). Lo recuperiamo subito. Non è il caso di sollevare polveroni». Il rettore ritiene si possa neutralizzare così, con la più irridente delle giustificazioni, il guanto di sfida lanciato da quattro direttori su otto. Il 50% dell’università gli si rivolta contro, per dire. Una sfiducia comunque mascherata, un rettore all’alba del suo mandato non può essere mandato a casa (almeno due anni). O forse un chiaro avvertimento: se il rettore non verrà messo nelle condizioni di andarsene (dimissioni), avrà praticamente un’autonomia controllata. Il preavviso di un’università imbalsamata è l’altra letterina contenuta nella busta indirizzata alla vigilia della più importante cerimonia dell’anno. Cosa chiedono i quattro direttori di dipartimento (Giurisprudenza, Scienze umanistiche, Scienze agrarie, la neonata Scienze sociali)? Lo Muzio, secondo i direttori, vorrebbe mettere la mordacchia all’Ateneo che macina nuovi iscritti e scala posizioni nella gerarchia del panorama accademico nazionale. Viene accusato di voler bloccare le assunzioni di personale tecnico-amministrativo («mancato riparto dei punti organico») e di rinviare la programmazione dell’offerta formativa. Questioni vitali per un Ateneo, d’accordo. Ma è davvero così improvvida la mossa di Lo Muzio? La verità, ammesso che ve ne sia una soltanto, andrebbe cercata nel bradisismo delle ultime settimane quando furono lanciati gli squilli di tromba con la nascita del nuovo dipartimento di Scienze sociali. Una scia sotterranea portata fin qui. La solita malmostosa minestra che ingurgita chi si alimenta di risentimenti, ripicche, bramosia di posti da assegnare per acquisire il fine ultimo del potere. Lo stesso prologo a novembre quando Scienze sociali emise il primo vagito: il dipartimento gemello del Demet (economia, management e territorio) nato tre anni fa a sua volta da una costola di Economia, che si è portato via dal blocco di partenza il 70% dei docenti. Ma non sono i dipartimenti – sentiti i docenti – a fornire i requisiti di docenza?, lo prevede lo statuto dell’Ateneo foggiano. E perchè allora gli altri quattro dipartimenti (i due di Medicina, Economia e Demet) tacciono se il rettore bellamente ignora anche loro?

Non hanno fatto i conti con la flemma di Lo Muzio che asseconda su tutto e porta a casa. Dimettersi? E perchè mai… Lui porterà avanti il suo mandato per sei anni, sostiene chi lo conosce bene. Del resto era il suo sogno nel cassetto. Prestare attenzione, piuttosto, alla forza di logoramento di un tipo così.

 

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