Gli indifferenti (che non votano): nasce il comitato per il referendum

Peggio del «Rosatellum» potè solo il «Porcellum», definito «una porcata» dal suo stesso ispiratore l’attuale ministro degli Affari regionali il leghista Calderoli. Come ci siamo ridotti… Parliamo di legge elettorale, tema complicato ai più. E forse anche per questo «lor signori» fanno un po’ come gli pare. Questione invece di stretta attualità mentre il governo Meloni insiste con il Premierato (l’elezione diretta del capo del governo, che limita alla sovranità dell’Esecutivo i poteri del capo dello Stato e del Parlamento) e il partito del «non voto» continua a crescere: alle Politiche del 2022 circa il 40% non si è presentato alle urne. Ma se gli indifferenti continuano ad aumentare e si restringe l’influenza del potere popolare, può accadere che qualche eccesso alla fine ci scappi. Prendiamo proprio il caso del Porcellum: fu un insulto lessicale, per non parlare del resto, definire così una legge elettorale. Su quella scia è poi venuto fuori il Rosatellum, l’attuale sistema, dal nome di chi lo progettò: il senatore, all’epoca renziano, Ettore Rosato. Una riforma che consegna nelle mani dei partiti i due terzi o giù di lì (i 3/8 come recita il dispositivo) dei neoeletti su indicazione delle segreterie. Ma non è finita. Adesso, passasse il Premierato della Meloni, bisognerebbe metter mano a un’altra legge elettorale e così, proseguendo sullo stesso crinale, si correrebbe il rischio che le menti di Palazzo potrebbero tirare fuori un’altra legge liberticida del diritto di scelta dei candidati. Questo però è un passaggio successivo, se il Premierato diventasse legge (e non è detto che accada). Continueremo dunque a tenerci il Rosatellum? E’ proprio questo che si vuole evitare.

«Urge fare in fretta», dicono i promotori del comitato referendario che si costituirà il 17 aprile a Roma e subito dopo comincerà a raccogliere le firme (90 giorni) per sostenere davanti alla Corte Costituzionale le ragioni del colpo di spugna. L’obiettivo dei referendari è obbligare il Parlamento ad approvare una legge che rimetta al centro gli elettori e la funzione democratica del nostro ordinamento. Già oggi il 61% del sistema parlamentare viene cooptato dalle segreterie dei partiti: alle ultime Politiche abbiamo “eletto” così 245 deputati (su 392) e 122 senatori (su 196).
«Con la raccolta firme chiediamo il referendum abrogativo del Rosatellum, evitando che si torni al voto con la stessa legge che limita la partecipazione democratica». «Se non riaffermiamo questo diritto – afferma Sergio Bagnasco, allievo di quel Felice Besostri che riuscì a far dichiarare incostituzionale il Porcellum in alcune sue parti – rischiamo, in caso di approvazione definitiva della riforma costituzionale per l’elezione diretta del “Capo del Governo”, che si arrivi a una nuova legge elettorale che trasformi del tutto i parlamentari in “collaboratori” del capo partito, assoggettando completamente il Parlamento alla volontà dell’Esecutivo. In caso di bocciatura della riforma costituzionale rischiamo, invece, di tornare a votare col Rosatellum, magari trasformato dalla maggioranza in senso più maggioritario».

«Avremo i partiti contro e le elezioni europee potrebbero distogliere le attenzioni sul referendum – mette in guardia Giulio Colecchia, ex segretario della Cisl Puglia oggi nel gruppo dei promotori referendari con il forum “Al centro” – dobbiamo farci trovare pronti perchè se verrà bocciata la riforma del Premierato (sottoposta a referendum: ndr), si andrebbe a votare col Rosatellum se non si obbligasse il Parlamento ad approvare una nuova legge sulla base delle richieste contenute nel quesito referendario». Cinque i punti proposti dai referendari: 1) Nessuna lista di sbarramento per liste e coalizioni (attualmente il 3%); 2) Nessuna base regionale per l’attribuzione dei seggi al Senato; 3) Niente voto congiunto; 4) Via i privilegi (ai partiti) per la presentazione delle candidature; 5) Esclusa la possibilità delle pluricandidature nei collegi uninominali.  E c’è poi lo spauracchio dell’Autonomia differenziata ad agitare lo scenario: «Con l’eventuale attuazione dell’autonomia differenziata e del premierato – sostiene Bagnasco – accadrebbe che solo i governatori delle regioni potrebbero contrattare col governo centrale, con un parlamento in gran parte svuotato del suo potere. Esisterà un legame fortissimo fra loro. Già questa relazione c’è tra governatore e un altro capo inamovibile, eletto per cinque anni dai cittadini: il sindaco. Tutto il potere verrebbe racchiuso in poche mani. Ai cittadini rimarrà solo la scelta di un capo ogni cinque anni».

 

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