Violenza al Pronto soccorso, ma forse è meglio girar la testa

Aggrediti e insultati, trascurati e maltrattati. Gli uni contro gli altri: da un lato medici e infermieri del Pronto soccorso, dall’altro i pazienti incattiviti dalle snervanti attese. Siamo al policlinico Riuniti di Foggia, terra di frontiera come lo è l’ospedale Tatarella di Cerignola, il Masselli Mascia di San Severo, il policlinico barese. Luoghi inospitali, costantemente affollati, da girone dantesco. Ma perchè mandare avanti ancora questo stillicidio? 

Se lo chiedono in tanti, mentre la cronaca registra con cadenza regolare episodi di violenza a ripetizione, come quelli denunciati nell’ultima tornata a Foggia: una dottoressa picchiata ben due volte, dal paziente prima e dalla moglie poi. Persone “normali”, riferiscono alcuni testimoni. Non parliamo di casi limite, di malavitosi supponenti e maneschi per intenderci. Eppure ci sarebbe il modo per evitare tutto questo: facendo pagare il ticket ai codici bianchi, ad esempio. Ovvero consentire comunque le cure, ma con un prezzo da pagare, a quanti si recano al Pronto soccorso quando basterebbe un cerotto, la consulenza del medico di guardia. Sarebbero oltre il 30% le richieste di questo tipo che potrebbero essere eliminate con il deterrente del ticket, cominciando a eliminare un primo coefficiente di potenziale assembramento. E invece davanti alla sala d’aspetto del nuovo Deu (tornato in modalità vecchio pronto soccorso di una volta), si continuano ad ammassare pazienti e familiari fermi là fuori per ore.

L’assistenza sanitaria pubblica va garantita a tutti? Giustissimo, anzi teniamocelo stretto il servizio sanitario nazionale pur con tutte le distorsioni del caso. Ma quando il malato sanguina e non si interviene in tempo, si rischia un’emorragia irreversibile. Proprio come sta accadendo a Foggia e in tutti gli altri ospedali finiti al centro della cronaca. Allora diciamocela tutta: questo tipo di servizio sanitario fa rima con “clientelismo”, la politica mai e poi mai accetterebbe il ticket sulle urgenze. Sarebbe antipopolare, significherebbe sì un’emorragia ma di voti in campagna elettorale… Ma qui si tratta di assumersi innanzitutto una responsabilità civile, perchè la politica (quella buona) è un’arte nobilissima se risolve i problemi della gente. Altrimenti diventa solo un inutile orpello al servizio del consenso più cieco e servile. E nel caso dei Pronto soccorso, lasciando che tutto vada come deve andare si corrono rischi ben più seri per la nostra salute pubblica. A questo, ogni tanto, qualcuno ci pensa?

Le prime conseguenze di questo stallo coinvolgono direttamente medici e personale sanitario, ormai sempre più orientati a scappare dal sistema dell’emergenza-urgenza non appena se ne presenta la necessità (in calo vistoso anche gli specializzandi in queste discipline). Ma anche il paziente merita rispetto, l’attesa di dieci e passa ore per suturare una ferita o per una consulenza in reparto non è da paese civile. Inevitabile che in quello stato di precarietà e di bisogno aumenti l’ansia e lo sconforto in quella sensazione di parcheggio all’interno di un Pronto soccorso. Prima di un medico di medicina generale o di un chirurgo, servirebbe al «triage» la presenza di uno psichiatra. 

 

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