Turismi a quattro stelle… ma per i lavoratori

Sarà stata colpa del Covid, del reddito di cittadinanza (ora quasi estinto), o forse più probabilmente di una strampalata pianificazione aziendale. Sta di fatto che le aziende del turismo e della ristorazione denunciano, più o meno tutte, una forte crisi di personale in vista della stagione estiva. Mancano in provincia di Foggia – e più in generale nei centri vacanze in Puglia – chef, camerieri e altre figure meno specializzate. Oltre 450 i profili richiesti attraverso l’Arpal, l’agenzia regionale per il lavoro che ha aperto una pubblica sessione di reclutamento alla fiera di Foggia, auspice l’amministrazione comunale. 

Assunzioni finalmente alla luce del sole, il “b2b” carbonaro di un tempo mostra evidentemente la corda per incipiente scarsità di profili. I lavoratori si accordano meno intorno a intese opache che facevano comodo ad ambo le parti. Se un tempo ci si intendeva sulla base di un reciproco tornaconto, ora quelle stesse procedure sono considerate insufficienti (almeno da una schiera di lavoratori più professionalizzati) a far soggiacere una manodopera che reclama il suo trattamento “quattro stelle”, dovendolo poi assicurare ai clienti nelle strutture in cui lavora. C’è crisi nel mercato del lavoro, ma sai qual è la novità. La vera sorpresa è semmai un’altra: che la scarsità della manodopera turistica, appena accennata un anno fa, si confermi nell’annata post-Reddito e post-Restaurazione e che sono proprio le aziende ora ad accusarla. 

La domanda di lavoro nel turismo, fenomeno esploso nell’estate 2023, sembrava fosse un effetto dell’onda lunga lasciata dalle prebende distribuite a piene mani negli anni 2021 e ’22 con il reddito di cittadinanza (e il proliferare parallelo del lavoro nero dei già percettori di reddito). Poteva bastare una stagione di mezzo per far tornare le cose al punto di partenza. E invece si cercano ancora con il lanternino i profili da ingaggiare per alberghi, ristoranti, centri vacanze, a meno di due mesi dall’inizio ufficiale della stagione estiva (meteo permettendo).

Allora, cosa se ne ricava? L’impressione è che proprio la stagione del Reddito di cittadinanza abbia alla lunga aperto gli occhi a centinaia di lavoratori. Il sussidio certo, intascato regolarmente sia pure per periodi limitati, potrebbe aver allentato la pressione che spingeva molta manodopera, specie quella non qualificata, ad accettare un impiego purchessia e in qualsiasi condizione pur di assicurarsi un reddito. Il bisogno potrebbe aver ceduto il posto alla consapevolezza del proprio ruolo in forza di quella flebile stabilità. Così il lavoratore diviene anche meno ricattabile, forse più “educato” a una condotta più regolamentare che inevitabilmente finisce per assottigliare la platea di aspiranti all’impiego se privo di determinati requisiti di reddito e di orario, soprattutto. 

E’ accaduto che quanti percepissero il reddito e poi fossero comunque indotti a lavorare a nero (stipendio doppio, con la complicità dei datori), acquisissero poi sul luogo di lavoro la forza per opporre dubbi e resistenze in merito a mansioni non consentite. C’è stata una strana escalation nella rivendicazione dei diritti negli anni blandamente monitorata dal sindacato e sfuggita alla pubblica opinione, ma notata (e sottaciuta) da molti datori di lavoro. Trattandosi di accordi sottobanco, il fenomeno è rimasto sottotraccia pur insinuando il dubbio che qualcosa stesse cambiando nella percezione d’impiego del lavoratore più debole. Ora la sua rivincita? 

 

Tag: Nessun tag

I commenti sono chiusi.