Nel bazar della parolaccia gli insultati siamo noi

Turpiloquio, in fondo che male c’è. La parolaccia fa ridere e acchiappa voti. Tutti pensano al «Vaffa» di Beppe Grillo, che forse sdoganò definitivamente il genere in politica. Ma già i comici, quelli più scarsi, si aggrappano al più greve dei repertori d’avanspettacolo per strappare una risata. E sui social – dal momento che ci alimentiamo soprattutto di questi – il ricorso ai termini forti serve a farsi spazio. Così la «Stronza» di Giorgia Meloni diventa un déjà-vu, tanto più che in campagna elettorale chi la vota immagina che qualche sgrammaticatura in fondo sia concessa. 

Ma Papa Bergoglio no: quella è davvero la variante più becera, la più inattesa. Sebbene rubata da una conversazione privata quel pessimo epiteto, «Frociaggine», rischia di demolire l’ultimo dei dogmi di un mondo che sbriciola via. Probabilmente nemmeno il più feroce anticlericale immaginerebbe come possa venir fuori un insulto del genere dalle labbra di un pontefice. Ci piacerebbe chiedergli: come può, Santità, spingersi in fondo al gorgo della volgarità e per giunta in pubblico? Sì, d’accordo: era una riunione privata, con i vescovi. E la frase è stata carpita dal contesto, riferita da altri, forse nemmeno pronunciata direttamente da Bergoglio. 

Tuttavia sul piano lessicale quell’insulto tradisce le migliori intenzioni. Quelle di una Chiesa refettorio degli ultimi, riparo delle coscienze in tumulto. Non fu proprio Bergoglio ad avvolgere gay e lesbiche in un abbraccio nella casa del Signore, ammettendo al battesimo i transessuali meno di un anno fa?  

Senza voler essere per forza bacchettoni, sembra normale anzi scontato che anche un pontefice abbia le sue pulsioni e parli “pane al pane, vino al vino”. Ma se anche il mondo che siamo abituati a vedere dentro una palla di vetro, lo scopriamo frivolo e aduso alle più irripetibili sconcezze dove volete che vada a sbattere lo sconforto di noi umili peccatori? E’ la mancanza di certezze il vero incubo del nostro tempo, dopo la picconata di Bergoglio ci resta solo il presidente Sergio Mattarella e forse pochi altri che scendono dalla luna.

 Ricordate i “Lanzichenecchi” di Alain Elkann? Appena l’estate scorsa, il celebre scrittore sorpreso su un volgare treno di seconda classe per recarsi a ritirare un premio a Vieste, si lasciò scappare quell’insulto demodé contro alcuni ragazzi che lo infastidivano. Forse non tutti capirono il significato e la portata di quel termine, che si rifà ai crudeli mercenari germanici del sacco di Roma (anno 1527), tanto è vero che suscitò garbate ilarità. Ma volete mettere l’eleganza, lo stile tranchant da gran signore? Ecco, oggi ci manca proprio questo. A furia di voler essere a tutti i costi gergali “per farci capire”, stiamo perdendo il gusto e lo spirito dell’immaginazione che almeno salva la faccia.      

 

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