Separazione carriere dei magistrati atto secondo. Memorabili le bordate di Silvio Berlusconi, ora ecco il disegno di legge costituzionale di riforma dell’ordinamento giudiziario. Varato in piena campagna elettorale per le Europee, giusto per non smentirsi. Basterebbe questo dato, proprio come fu qualche mese fa per l’Autonomia differenziata cara alla Lega e approvata a pochi giorni dal voto in Abruzzo, a smontare due delle “grandi riforme” del governo Meloni (la terza sarà il premierato?) che dovranno passare al vaglio del Parlamento. Ma se l’effetto annuncio è assicurato, parliamo pur sempre di provvedimenti che per quanto potranno essere emendati dall’Aula, cadranno comunque sulla testa dei cittadini.
Come per l’Autonomia differenziata, già bocciata dalla commissione Ue («farebbe lievitare i costi dello Stato, oltre a ridurre in povertà le regioni già messe peggio»), anche la nuova riforma sulla separazione delle carriere cara a Forza Italia, non aiuta a comprendere gli effettivi benefici al di là di una generica e vaga “giustizia più giusta” ripetuta nei telegiornali di mamma Rai. Il governo vorrebbe rendere ancor più rigida una separazione che di fatto già esiste: con la riforma Cartabia (2022), il giudice che diventa Pm o viceversa può scegliere di fare il cambio una sola volta in carriera. E negli anni precedenti alla riforma voluta dal governo Draghi, la regola delle porte girevoli era stata applicata dai magistrati con percentuali da “zero virgola” sia nel passaggio dai requirenti ai giudicanti che nel percorso inverso. La drastica separazione delle carriere piuttosto – sottolineano i malpensanti – ricorda il piano sovversivo che aveva in mente Licio Gelli, famigerato capo della loggia P2. Ma in quel caso si cospirava un golpe di Stato, qui molto meno (speriamo). E’ piuttosto il tentativo di impedire “inciuci” fra giudici e pm la vera polpa della riforma, quella che non si dice ma di cui in fondo si parla. Ovvero impedire il potere di influenza delle correnti, introdurre qualche contrappeso in più in un rapporto, a volte sbilanciato, fra pubblico ministero e giudice.
Ma stiamo ai fatti. Addentriamoci in quel che succede in un tribunale di medie proporzioni qual è quello di Foggia (provincia di 61 comuni). «Siamo contrari alla separazione delle carriere, ma analizziamo la situazione sul piano pratico: un ex pubblico ministero che passi al giudicante, sa cosa c’è dietro un’indagine giudiziaria, ne conosce le sfaccettature e gli imprevisti. E lo stesso vale per l’ex giudice che andasse a formulare la pubblica accusa. L’intercambiabilità dei ruoli è un accrescimento professionale, non un passo indietro come vorrebbe far intendere la riforma del governo», afferma Rossella Pensa, sostituto procuratore a Foggia, presidente della sottosezione dell’Associazione nazionale magistrati.
Il 4 giugno all’assemblea interdistrettuale a Bari parteciperanno tutte le correnti interne al Csm (consiglio superiore della magistratura). Dunque la riforma avrebbe già prodotto un primo risultato, compattando sulle ragioni del «no» i progressisti di Magistratura democratica e i moderati di Magistratura Indipendente. L’ANM parla di «volontà punitiva» nella decisione del governo di istituire l’Alta corte, un organo svincolato dai due Csm (uno per i giudici, l’altro per i Pm entrambi presieduti dal capo dello Stato) che giudicherà gli errori dei magistrati sia in prima istanza che in appello. «Ci sembra chiara l’intenzione – commenta Pensa – di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica. Ma io ricordo come proprio in provincia di Foggia decine di inchiesta della magistratura abbiano dato la stura al commissariamento per mafia di cinque comuni (cinque: ndr)».