Il voto sull’Europa all’ombra dei peones

Li chiamano “cacicchi”, ma sono dei peones: vivono di potere effimero, da “cinque minuti di celebrità”. Non incidono, ma decidono. La politica italiana si sta abituando alla logica dei partitini (Italia Viva, Azione, i Cinque stelle nell’eterna disfida alla leadership del Pd), poi in Europa ne paghiamo il conto. Leader che vivono di luce propria, si crogiolano nelle soddisfazioni del proprio orticello elettorale. L’opposizione, questa sconosciuta, solo a fasi alterne. Grazie a loro la stampella per la maggioranza non manca mai: il voto non si nega sia in Parlamento che in altre alleanze di comodo, ovunque ci sia una posta in gioco da far pesare (Calenda e Renzi furono decisivi nello schieramento con il centrodestra alle regionali in Basilicata, Renzi ha di recente sostenuto la riforma penale voluta dal governo). Piccoli, sempre più piccoli che nell’emiciclo di Bruxelles scompariranno.

 Stessa fine residuale che potrebbe fare anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ma qui il problema è molto più complesso. La nostra premier in queste ultime tornate di campagna elettorale è sempre più sospesa se schierarsi con i sovranisti morbidi del gruppo ECR Conservatori e i riformisti europei, oppure con il gruppo ID di estrema destra Identità e democrazia (Le Pen). Se optasse sulla seconda scelta il governo italiano, all’interno del Parlamento europeo, idealmente si ritroverebbe tra i partiti anti-euro e dunque all’opposizione della maggioranza di governo se alle prossime elezioni dell’8-9 giugno si affermasse ancora la coalizione che regge la maggioranza guidata da Ursula von der Leyen (Popolari europei e socialisti). Oltretutto la contraddizione del nostro governo sarebbe massima tenuto conto che saranno i capi di stato e di governo (dunque ancora Meloni) a nominare il nuovo presidente della commissione: con quale ruolo d’influenza dell’Italia? 

E qui torniamo al ragionamento sui cacicchi. Perchè se Meloni vince in Italia e ora può portare avanti la sua politica destrorsa in Europa (in contraddizione con i valori europeisti patrimonio della nostra democrazia), lo si deve anche ai continui tentennamenti della più incerta sinistra degli ultimi anni. Le urne suggeriscono da tempo quanto sia naturale un’alleanza su nomi e programmi fra Partito democratico e movimento 5 stelle, ma le divisioni prevalgono (sulle armi all’Ucraina la più devastante) e l’ala dura dei pentastellati (il 4-5%?) a dettare la linea dell’intransigenza. Così i cacicchi nel pantano politico sono strategici per gli equilibri politici anche se la loro forza poi si diluirebbe nell’emiciclo comunitario. I Renzi, i Calenda (i Conte?) si mantengono in vita così e per giunta i Cinquestelle in Europa scontano un complesso di inferiorità che li mette all’angolo rispetto alle forze europeiste con Verdi, liberali, socialisti se prima non chiariscono le questioni interne.  

 Proviamo perciò a fare un po’ di conti: Pd e 5 stelle, con i voti attribuiti attualmente dai sondaggi, viaggiano intorno al 35-36 per cento, ma va ricordato che l’intera coalizione alle ultime politiche raggiunse il 41% mentre il centrodestra (FI, Forza Italia e Lega) si è affermato con il 43% vincendo le elezioni nel 2022 e diventando maggioranza di governo. Schieramenti che forse oggi si equivalgono, ma che con il 7-9 per cento dei centristi potrebbero risultare strategici, dall’una o dall’altra parte. In Italia e soprattutto in Europa, dove l’ala nazionalista è sempre più una minaccia per la stabilità politica del nostro continente. 

 

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